A seguito di numerose richieste di chiarimento pervenute in merito alle recenti modifiche di legge e pronunce giurisdizionali, riteniamo opportuno fornire un quadro aggiornato della evoluzione dell’istituto.

 

Parliamo del trasferimento connesso alle esigenze di tutela delle disabilità.

Va premesso che il testo originario dell'art. 33 comma 5 della L. 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) disponeva che "Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso in altra sede".

La norma è stata poi modificata dall'art. 19 della L. 8 marzo 2000 n. 53, in particolare con la soppressione dell'inciso "con lui convivente".

Inoltre l'art. 20 della stessa L. n. 53 del 2000 aveva previsto che "Le disposizioni dell'articolo 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall'articolo 19 della presente legge, si applicano ... ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente".

La giurisprudenza, secondo un pacifico e costante indirizzo interpretativo, aveva ritenuto che costituivano requisiti essenziali ed imprescindibili al trasferimento di cui all’art. 33, quinto comma L. 104/92, sia la "continuità" dell'assistenza, intesa come assistenza già in atto al momento della domanda, essendo per contro inammissibile una domanda di trasferimento tesa a costituire per la prima volta il rapporto di convivenza con il disabile, che l’esclusività dell'assistenza, intesa come mancanza o indisponibilità di altri soggetti, conviventi o comunque abitanti nel comune di residenza della persona bisognosa, tenuti in virtù di legge o di provvedimento a prestarle la necessaria assistenza, che, infine, l'effettiva possibilità di soddisfare tale richiesta ("ove possibile"), in relazione alle esigenze organizzative ed operative dell'Amministrazione di appartenenza. Successivamente, però, l'art. 33 della L. n. 104 del 1992 è stato modificato dall'art. 24 della L. 4 novembre 2010, n. 183, il quale ha sostituito, in particolare, il comma 3 (permessi mensili retribuiti) e il comma 5 (scelta della sede) dell'art. 33 L. n. 104 del 1992 ed ha abrogato l'art. 20 della L. n. 53 del 2000 nella parte in cui prevedeva :”… nonché ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente." Nell'attuale formulazione, risultante anche dalle ulteriori modifiche introdotte dall'art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. 18 luglio 2011, n. 119), l'art. 33 L. n. 104 del 1992 così recita:

• al comma 3: "A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa.  Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente. Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti";

• al comma 5: "Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.

In sostanza, per effetto delle sopravvenute modifiche legislative, il diritto al trasferimento presso la sede più vicina al domicilio della persona da assistere viene ora riconosciuto al lavoratore che assista una persona con handicap in situazione di gravità, anche nel caso in cui difettino i requisiti della "continuità" e della "esclusività" dell'assistenza.

Il Consiglio di Stato, in una prima interpretazione della predetta novella legislativa, aveva ritenuto la stessa inapplicabile al personale delle Forze Armate e di Polizia, sul presupposto che le nuove disposizioni, in forza di quanto previsto dall'art. 19 della predetta L. n. 183 del 2010, richiedessero, per poter essere applicate agli appartenenti alle Forze Armate e di Polizia, l'adozione di successivi provvedimenti legislativi (Cons. St., sez. IV, 5 maggio 2011, n. 2707; Sez. IV, 10 gennaio 2012, n. 66). Successivamente, però, l’alto consesso ha mutato orientamento ed ha sostenuto che, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 24 della L. 4 novembre 2010, n. 183, i requisiti di continuità ed esclusività dell'assistenza al familiare disabile non sono più necessari affinché i lavoratori possano ottenere il trasferimento ex art. 33, co. 5 L. 5 febbraio 1992, n. 104, ed ha aggiunto che l'art. 24 della L. n. 183 del 2010, che ha soppresso i riferiti requisiti, è da ritenersi immediatamente applicabile anche ai rapporti di lavoro del personale di polizia, a ciò non ostando l'art. 19 della legge stessa.

A sostegno di tale conclusione, I giudici di Palazzo Spada hanno osservato che la formulazione contenuta nella seconda parte del citato art. 19, che rimanda ad altra e successiva fonte, di pari grado, l’attuazione ai principi sopradetti, non è in generale idonea a giustificare l'inoperatività relativa della fonte nel cui contesto la norma è inserita, non foss'altro perché essa non contiene nessuna disposizione ad esplicito e specifico carattere inibitorio, presentandosi piuttosto all'interprete come un autonomo articolato, fondante in nuce le basi del futuro assetto di una organica e speciale disciplina del rapporto di impiego delle Forze Armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco.

Né la norma può essere considerata quale implicita disposizione transitoria che mantiene inalterata, nei confronti delle Forze Armate e di Polizia, tutta la disciplina previgente, ivi compresi i benefici della L. n. 104 del 1992, in attesa di una valutazione di adeguatezza da parte del legislatore "speciale", poiché, a prescindere da quanto sopra chiarito circa la natura palesemente programmatica della stessa, l'ultravigenza di norme espressamente sostituite necessita di una chiara indicazione legislativa che ne proroghi temporalmente o soggettivamente l'efficacia, in deroga al principio per il quale la sostituzione presuppone in via generale una implicita abrogazione della norma sostituita.

Anche a prescindere dalle predette e generali considerazioni, in ogni caso, che la norma speciale a preteso effetto "inibitorio" non faccia specifico riferimento alle agevolazioni finalizzate all'assistenza dei familiari con disabilità grave, secondo il C. di S., lo si evince dalla collocazione topografica della stessa nell'ambito della fonte: essa è dettata dal legislatore a coronamento di una serie di norme che hanno ad oggetto esclusivamente il rapporto di lavoro (lavori usuranti, lavoro sommerso, orario di lavoro, mobilità, part time etc.), ma comunque collocata prima del discusso art. 24 che interviene a modificare la normativa dettata dalla legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, con ciò lasciando intendere che la materia è oggetto di considerazione autonoma e trasversale, impingendo su problematiche di carattere sociale più ampio. In conclusione, ragioni testuali e sistematiche inducono a considerare la modifica dell'art. 24 applicabile a tutto il personale dipendente, senza eccezioni.

In pratica, sino a quando la legislazione attuativa richiamata dall'art. 19 non interverrà e non detterà disposizioni speciali e derogatorie, la disciplina comune in materia di assistenza ai familiari disabili potrà trovare applicazione anche per il personale delle Forze Armate, di Polizia ed ai Vigili del Fuoco" (Cons.St., sez. IV, 9 luglio 2012 n. 4047, Cons. St., sez. IV, 30 luglio 2012 n. 4291 e Cons. St., Sez. IV, 18 ottobre 2012 n. 5378).

Pertanto, l’asserita presenza di un familiare cui teoricamente affidare la cura del disabile non costituisce più un requisito essenziale cui riconnettere e motivare il diniego del trasferimento, atteso che tale evenienza non può essere prospettata in termini ipotetici, ma deve, eventualmente, essere puntualmente dimostrata dalla Amministrazione, alla quale incombe la dimostrazione che il disabile è diversamente e stabilmente assistito dai familiari, ovvero in strutture ospedaliere, perché, altrimenti, la riportata modifica normativa risulterebbe tamquam non essent, così vanificando la espressa volontà del legislatore.

Infine, La Giurisprudenza del Consiglio di Stato ha altresì chiarito il principio che non può assumere valore, ai fini della concessione del trasferimento, la valutazione di posizioni giuridiche dei pari qualifica, antitetiche e configgenti nella scelta della sede.

Invero, il trasferimento disposto a mente dell’art. 33, quinto comma cit., secondo la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha natura temporanea, per cui è legato alla vicenda ed alla patologia del disabile, per cui ogni successiva modificazione dell’originario ed accertato stato di salute, ovvero una diversa assistenza del predetto (miglioramento della patologia, ricovero in strutture sanitarie, presenza di familiari che accudiscono il disabile, morte dello stesso) comportano il venir meno del diritto, con il conseguente ritrasferimento del beneficiario al reparto di originaria appartenenza.

Tale evenienza comporta, pertanto, una priorità nei trasferimenti, rispetto agli altri pari qualifica che aspirano alla medesima sede, poiché, diversamente la norma speciale non troverebbe mai applicazione essendo, di fatto, subordinata alle ordinarie procedure di mobilità.

Roma, 12 ottobre 2014           La Segreteria Nazionale

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