Molto spesso vengono irrogati provvedimenti disciplinari con motivazioni discutibili e poco convincenti. Uno dei casi che si riscontra più frequentemente è quello che consegue al presunto disservizio provocato da chi si assenta dal servizio per motivi di salute. Al riguardo, sembra interessante, proporre all’attenzione dei nostri lettori la sentenza 01104/2015 del 21 agosto 2015 del TAR Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) che ha recentemente affrontato la questione.
La vicenda di fatto ha riguardato un ricorso gerarchico con cui l’interessato chiedeva l’annullamento della sanzione disciplinare della pena pecuniaria di 1/30 della retribuzione, inflittagli poiché.. ” in due diverse occasioni, nel quadro di un generale disinteresse a quella sede di servizio cagionava problemi all’ufficio per le proprie assenze improvvise….””.
Nella motivazione del provvedimento si ipotizzava, che dette assenze fossero la conseguenza del rigetto di determinate istanze da parte del proprio dirigente, e che il comportamento assunto…… oltre a creare tra l’altro disservizio, aveva evidenziato scarsa consapevolezza delle responsabilità in riferimento alla qualifica rivestita e all’incarico di vice dirigente… dando così cattivo esempio”. Respinto il ricorso gerarchico la questione perveniva alla cognizione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) che la definiva con la citata sentenza 01104/2015.
I Giudici amministrativi hanno ritenuto fondata e assorbente la censura del provvedimento per eccesso di potere per travisamento del fatto, negando in sintesi estrema il rilievo disciplinare dei fatti contestati. Secondo i giudici amministrativi, “ in astratto è senz’altro vero che l’uso strumentale delle richieste di visita medica costituisce grave illecito disciplinare, e financo penale, se a sostegno si ottenga un certificato medico cd. “di comodo”, ovvero ideologicamente falso. Tuttavia, perché ciò accada vi è un presupposto imprescindibile, ovvero che di uso strumentale effettivamente si tratti.
Viceversa, ove l’interessato sia in realtà affetto da condizioni patologiche, e quindi ad avviso dei sanitari non possa in quel momento prestare servizio, non si può parlare di abuso, in primo luogo perché il diritto alla salute è riconosciuto a livello costituzionale.
In altri termini, non esiste nell’ordinamento come precetto esplicito, né appare ricavabile dai principi, alcuna norma che imponga di prestare un servizio lavorativo a detrimento della salute propriamente intesa, ed anzi, ai sensi dell’art. 61 del D.P.R. 28 ottobre 1985 n°782 per il personale della Polstato è preciso dovere segnalare le malattie ritenute capaci di influire sull’idoneità al servizio”.
Nella fattispecie è apparso incontestabile il rilievo per cui i certificati medici presentati dal ricorrente non sono stati mai messi in dubbio quanto alla loro veridicità. La stessa si dà per pacifica per il primo certificato mentre per il secondo vi è addirittura il certificato successivo del medico fiscale, il quale “conferma prognosi del medico curante”.
Per le sopra esposte ragioni il TAR ha annullato l’impugnato provvedimento del Capo della Polizia che respingeva il ricorso gerarchico, con il conseguente venir meno della sanzione della pena pecuniaria irrogata al ricorrente.
Roma, 1 ottobre 2016 La Segreteria Nazionale