Emerge l’esigenza di superare le precedenti incertezze applicative create dal Dipartimento che, dopo un errato richiamo all’istituto del permesso breve, ha acuito ancora di più le contraddizioni applicative, generando sul territorio interpretazioni inedite e bizzarre.

Richiesta incontro urgente. Riportiamo il testo della lettera inviata al vice Capo della Polizia Prefetto Marangoni.

Con l’allegata sentenza n. 5714/2015 depositata il 17 aprile scorso, il TAR del Lazio ha accolto l’impugnazione proposta da un sindacato di categoria del Pubblico impiego, annullando quella parte della circolare n. 2/2014 della Funzione pubblica che stabiliva il ricorso al permesso per i dipendenti pubblici che si assentano dal lavoro per sottoporsi a visite mediche specialistiche, terapie o esami diagnostici, anche quando la visita o terapia riguardava una patologia in atto.

La sentenza in discorso riguarda il pubblico impiego privatizzato ove esiste un regime di permessi sotto forma di un monte ore per ciascun dipendente (permessi brevi o banca delle ore) per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei contratti nazionali)“.

Tuttavia, pur riferita al pubblico impiego privatizzato, la sentenza involge il contenuto della circolare della Funzione pubblica nr. 2/2014, la quale viene sostanzialmente annullata nella parte in cui disciplina la materia delle visite enunciando sostanzialmente principi di diritto che permettono senz’altro di eliminare le incertezze registrate nell’applicazione, al personale della Polizia di Stato, dell’art. 55-septies, comma 5 ter, d.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 16, comma 9, l. n. 111/2011 e successivamente modificato dall’art. 4, comma 16 bis, d.l. n. 101/2013, conv. in l. n. 125/2013. I principi enunciati dal TAR del Lazio sono sostanzialmente tre:

1. quando la visita specialistica o l’esame riguarda una patologia invalidante o siano invalidanti essi stessi, si deve continuare a far ricorso all’istituto dell’assenza per malattia;

2. il permesso di cui alla novella legislativa ha altri scopi e pertanto non può ricadere nel novero dei permessi già disciplinati dalla contrattazione collettiva di settore;

3. la novella legislativa non può avere un carattere immediatamente precettivo ma deve comportare, per la sua applicazione l’emanazione di atti generali quali circolari o direttive, anche attraverso una più ampia revisione della disciplina contrattuale di riferimento.

I giudici Amministrativi dopo aver effettuato una ricognizione evolutiva della normativa e considerato che, sulla base della novella legislativa in questione, il Dipartimento della Funzione Pubblica aveva adottato la suddetta circolare ove era precisato tra l’altro che, “per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei contratti nazionali, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)“, concludevano nel senso che l’utilizzo della parola “permesso”, invece della seconda espressione “assenza” adottato dalla precedente normativa, trae fondamento solo dalla consapevole esigenza di regolare la mancata prestazione lavorativa per visite mediche tramite gli istituti contrattualmente previsti per giustificare un’assenza per motivi diversi da quella per malattia.

Fra l’altro il motivo del decreto 2013 è proprio quello di impedire l’abuso delle “assenze per malattia” da parte di pubblici dipendenti in caso di visite specialistiche o di terapie di breve durata che, se ancorate ad uno stato patologico in atto, temporaneamente invalidante, possono certamente essere giustificate dal medico curante come tali a suo giudizio tecnico, discrezionale.

Ne consegue, secondo il TAR, che, in tale ultimo caso, né la nuova norma né la circolare 2/2014 hanno inteso eliminare l’assenza per malattia conclamata come assenza giustificata e certificabile secondo le  ordinarie modalità.

Secondo i Giudici, infatti, la norma, già peraltro nella prima stesura, fa riferimento sia a “terapie” e “prestazioni specialistiche”, che potrebbero ben collegarsi a stati patologici, che a generiche “visite” ed “esami diagnostici”.

E’ evidente, infatti, che un soggetto può sottoporsi a indagini diagnostiche per mero fine esplorativo nonché a visita medica a mero scopo preventivo e/o di controllo di uno stato di buona salute. Non appare quindi pertinente, secondo il TAR, il richiamo alla normativa (già esistente) che regola lo stato di “malattia” e i collegati diritti costituzionalmente protetti, che non possono essere stati messi in discussione dalla novella legislativa, la quale – si ribadisce – appare posta al fine di regolare unicamente situazioni di assenza dal lavoro non direttamente collegate ad uno stato patologico acclarato.

Pertanto, in caso di effettiva patologia e in ogni altro caso in cui il medico curante, a sua discrezionale valutazione tecnica, constata una (sia pure temporanea) inabilità al lavoro del dipendente, l’assenza deve essere giustificata a titolo di malattia con la produzione della relativa attestazione e tale circostanza si manifesta certamente anche ogni qual volta il dipendente debba effettuare esami diagnostici, terapie, visite e il medico curante ritenga sussistente uno stato patologico o gli esami e le terapie abbiano essi stessi carattere invalidante.

Per quanto evidenziato, quindi, la volontà del legislatore, nell’utilizzare la parola “permesso” in luogo di “assenza”, non può che essere ricondotta all’istituto giuridico rappresentato dai “permessi” quando la necessità di sottoporsi ad una visita o ad un controllo medico non presuppone la presenza di una patologia in atto e quindi di una certificazione medica che la attesti.

Tuttavia, secondo lo stesso Tribunale, il riferimento ai “permessi” non può inserirsi “sic et simpliciter” nell’ambito della normativa contrattale collettiva vigente, senza alcuna modifica e/o integrazione.

Il Collegio, infatti, osserva che la norma di cui all’art. 55- septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01, nell’attuale conformazione, non fa alcun riferimento agli istituti contrattuali, limitandosi ad affermare – appunto - che “il permesso” è giustificato mediante la presentazione di una determinata attestazione.

Il Collegio ritiene che se il legislatore avesse voluto riferirsi ai permessi già esistenti e regolamentati, avrebbe fatto uso di locuzioni del genere “il permesso regolato dai vigenti contratti collettivi nazionali di comparto” o simili e non avrebbe utilizzato genericamente la locuzione “il permesso”. Ciò vuol dire che non è possibile interpretare la norma nel senso di richiamare i permessi per “documentati motivi personali secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi già previsti (come i permessi brevi o la banca delle ore vigenti per il pubblico impiego privatizzato)”.

Ciò perché, evidentemente, tali permessi, e la relativa contrattazione di comparto, erano stati individuati nella vigenza della normativa precedente, e che tali “permessi” riguardavano la necessità di assentarsi dal lavoro per le ragioni più varie (indicate anche dalla Federazione sindacale ricorrente) ma non anche per le assenze per terapie e simili di cui all’art. 55-septies cit. allora vigente.

L’utilizzo imposto immediatamente di istituti già previsti per altre specifiche esigenze, secondo il TAR, comporterebbe indubbiamente uno sconvolgimento nell’organizzazione di lavoro e personale del dipendente che ben potrebbe aver già usufruito di tali forme di giustificazione di assenza, confidando di poter avvalersi dell’ulteriore modalità di “assenza per malattia” prima prevista dalla conformazione della richiamata norma e del CCNL applicabile o, viceversa, non potrebbe più avvalersi di tali “permessi” per documentati motivi personali” diversi dallo svolgimento di terapie, visite e quant’altro.  

Ne consegue, ad opinione del Collegio, che la novella legislativa deve comportare, per la sua applicazione, anche mediante atti generali quali circolari o direttive, una più ampia revisione della disciplina contrattuale di riferimento. Per quanto dedotto, perciò, il TAR, ha annullato la circolare impugnata, laddove impone alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/01 di avvalersi, ai sensi dell’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01 nella nuova formulazione, dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore).

Si tratta di una sentenza di primo grado. Ma essa contiene tutti quei criteri di ragionevolezza che ci inducono a ritenere che, con tutta probabilità l’annullamento della circolare della F.P. possa ritenersi una dato accettabile e definitivo.

Ciò premesso emerge l’esigenza anche per la Polizia di Stato, di superare le precedenti incertezze applicative create dal Dipartimento che dopo un errato richiamo all’istituto del permesso breve, ha diramato la circolare 333.A./9807.F.4/2718-2014 del 28 aprile 2014 (pubblicata sul nostro sito www.siulp.it ndr) che ha acuito ancora di più le contraddizioni applicative, generando sul territorio, interpretazioni inedite, curiose e a volte persino bizzarre, come si evince da numerose segnalazioni giunte dalle nostre strutture periferiche e puntualmente inoltrate al competente Ufficio Relazioni Sindacali.

Alla luce di quanto premesso, siamo a richiedere un incontro urgente, al quale si chiede la partecipazione degli Uffici interessati, al fine di individuare e cristallizzare una procedura univoca per tutti gli uffici in considerazione della specificità del nostro rapporto di impiego. Nell'attesa cordiali saluti.”

Roma, 9 maggio 2015            La Segreteria Nazionale

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